Milarepa

Questa è la storia di Milarepa poeta, mago, eremita e maestro.
È considerato fra i fondatori della scuola Kagyupa (o Kagyu) del Buddhismo tibetano, il cui insegnamento principale è il Mahāmudrā, basato su una pratica meditativa (Yoga) composta da quattro stadi. Finalità del Mahāmudra è quella di “indagare” la natura della mente.
La vita di questo maestro è la parabola di un’ascesa dal buio cieco della coscienza inconsapevole alla suprema illuminazione o stato di buddità, raggiunta in una sola esistenza; la sua storia è l’esempio fulgido e veritiero di come sia possibile, per vocazione e per scelta di aderirvi, abbandonare la via del karma, per quanto pesante esso possa rivelarsi a favore del dharma. La via imboccata del dharma, che si rivelerà infine salvifica, si snoda in maniera consequenziale attraverso le fasi del pentimento, dell’iniziazione e dell’ascesi.

Milarepa, artista dell’anima, esprimeva la sua devozione al divino predicando la transitorietà e l’impermanenza di tutte le cose attraverso dei canti, noti e raccolti nell’opera i “Centomila canti di Milarepa” (Mila mgur-‘bun).
Milarepa, custode del fuoco, sacro elemento trasmutativo, tanto da essere nato con il nome di Mila (la cui traduzione principale è “uomo”) e, solo in seguito all’acquisizione della pratica tantrica del tummo, venire  soprannominato re-pa (letteralmente “vestito di cotone”). Grazie al “fuoco interiore”, infatti, anche durante la fredda stagione invernale, egli poteva vestirsi unicamente di tela.

Mila nacque, forse nel 1051, al confine tra Nepal e Tibet nel villaggio del Gungthang e, rimasto orfano di padre all’età di sette anni, fu costretto a vivere in una situazione di estrema povertà insieme alla madre Karmo Kien e alla sorellina minore Peta (che molti anni dopo divenne sua allieva): i beni di famiglia furono affidati agli avidi zii che ne rifiutarono la restituzione, anche quando il giovane Mila raggiunse l’età adulta.
Le vessazioni da parte degli zii costituivano un dolore, che si aggiungeva alla perdita del padre; parallelamente cresceva il risentimento della madre che, in cuor suo, escogitava una vendetta parentale atta a riscattare sé e i figli da una condizione socialmente ed economicamente insostenibile.
Il giovane fu indirizzato proprio dalla madre allo studio della magia nera, presso il lama Yungtung Trogyal, che gli trasmise il potere della distruzione, arte magica assai oscura, che Mila mise in atto durante un banchetto di nozze e che vide la morte degli zii. Ma la vendetta non si fermò qui: persone innocenti che abitavano nel villaggio, spaventate dalla potenza oscura, trovarono la morte anch’esse.

Ed è proprio con questi gesti scellerati, con il cattivo uso della conoscenza e del potere, che si crea per Mila un karma pesantissimo, tanto da venire allontanato dallo stesso lama che lo istruì.
Viene indirizzato allora al maestro Marpa Lotsava detto “il Traduttore”, incontro che segna la svolta nella sua esistenza, il quale gli permette di restare al suo fianco, ma senza impartirgli insegnamenti, nonostante tempo prima avesse visto in sogno il suo arrivo (si noti il possibile legame karmico fra i due); emblematico è il loro rapporto: tanto Marpa combacia con la figura del guru, quanto Mila con quella del discepolo o shishya. Tali figure sono concettualmente interindipendenti, cioè legate e libere allo stesso tempo.

Gli anni successivi, per Mila, sono di lavoro duro che fiaccano il corpo ma forgiano lo spirito e solo la Madre, la moglie di Marpa, mostra benevolenza nei suoi confronti. Lo scopo delle fatiche è quello di “bruciare” il karma negativo e a queste si aggiunge, in seguito, l’esperienza di eremitaggio nelle caverne.

Al suo ritorno Mila è pronto per ricevere il potere del fuoco e per trasmettere gli insegnamenti spirituali, avvalendosi di ventuno discepoli e di numerosi seguaci raggiunti dalla sua fama.
Morì molto anziano, probabilmente all’età di 84 anni.
Il suo lascito spirituale è di straordinaria profondità.

La mente-in-sé è come il cielo – Milarepa

La mente-in-sé è come il cielo;
I pensieri sono come le nuvole che lo oscurano,
E gli insegnamenti di un maestro qualificato
Come il vento che li soffia via […]
Tu, uomo fortunato,
Sai bene che le apparenze sono in essenza la mente
E che la propria mente è il Buddha […]
Se hai realizzato tutto ciò,
Riporta ogni apparenza alla mente stessa;
Osserva la mente giorno e notte;
Per quanto la guardi, non la vedrai.
Rimani nella sfera di questo non-vedere! […]
Ricordati che le apparenze sono la propria mente,
E che la propria mente è vuota […]
Prendendo l’esempio dell’oceano,
Medita oltre profondità e superficie.
Medita sull’essenza della mente,
Al di là di ogni oscurazione […]
Inesprimibile e al di là dei concetti,
La vera comprensione sorge come i pianeti e le stelle;
In qualunque momento si manifesta procura grande beatitudine.

(Tsang Nyong Heruka, I Centomila Canti di Milarepa)



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