Nonna Francesca


C’è una storia non ancora narrata ed è la storia della nonna Francesca.

Ho sempre pensato che Francesca sia un nome bellissimo tanto che, a pensarci bene, avrei potuto darlo ad una delle mie figlie; cosa che però non ho fatto, sia perché la nonna era ancora in vita quando sono nate sia perché Francesca è il mio secondo nome: sono stata battezzata Miria Francesca, perciò una porzione di “ereditarietà” mi fu donata sin dal principio dell’affacciarmi alla vita. 


Il primo Arcano dei Nat, le carte di Selene Calloni Williams (edizioni Mediterranee), è lo Spirito della Contemplazione degli Antenati che ho appena estratto e che mi ha condotto, quasi istantaneamente, alla nonna. Nonna Francesca da qualche anno non risiede più a questo mondo, bensì nel regno dell’invisibile, la dimora degli avi. Secondo l’approccio con i Nat, questo regno è simile ad un etere, è chiamato “akasha” e da esso derivano sia lo spazio che il tempo. La dimora degli avi contiene le memorie dei membri del clan familiare a cui si appartiene.

Oltre a portare in parte il suo nome, le somiglio: la fronte bassa, la figura un po’ tarchiata, i capelli scuri, l’attitudine giocosa e fiduciosa verso l’esistenza, la cura e la dedizione familiare. Tuttavia, prima di essere madre, nonna, contadina e operaia, Francesca nacque donna; donna la cui natura, sottilmente inquieta, era dotata di un’acume e una lungimiranza che rasentavano la premonizione. Doti, queste, occultate con abilità e una certa noncuranza. Annusando l’aria sapeva, “sentiva” l’avvicinarsi di un temporale e se nuvole minacciose si addensavano poi effettivamente in cielo, munita di un falcetto “tagliava il tempo” invocando San Giovanni affinché non dormisse e vigilasse sui campi. La nonna assecondava così le antiche pratiche contadine e pagane del luogo, atte a propiziare o a salvaguardare i raccolti. 


Siamo nel Salento, una terra davvero magica, il cui vento (lu ientu) quasi profuma di Oriente, il cui mare (lu mare) bacia tanto dolcemente quanto impetuosamente la terra grassa e del colore del rame. Terra in cui il sole (lu sule), quando d’estate si posiziona allo zenit, pare addormentare ogni forma di vita. 

Terra che lei stessa definiva “la pace mia”. 

Il Salento della taranta, temuta creatura assimilabile ad un ragno il cui morso osceno genera una vera e propria possessione, che solo preghiere accorate e balli dai ritmi forsennati sarebbero in grado di togliere. Il Salento chiamato “La terra del rimorso” in un evidente gioco di parole dall’antropologo Ernesto De Martino, gioco che titola la sua opera (omnia) sul fenomeno del tarantismo (a cui la città di Taranto dà il nome). Mia nonna era una strega in virtù di questo luogo di potere che l’aveva vista prima nascere e poi andarsene e dal quale ne aveva tratto tutto il magico nutrimento. Mia nonna era una strega perché osava, voleva, sapeva, ma soprattutto taceva e dissimulava. Spesso parlava per detti e proverbi o per filastrocche e rime perché una vera strega sa che la parola è potere e sa che va saggiamente dosata e modulata. Ella onorava gli antenati di giorno con candele accese sul piccolo altare di casa e di notte, raggiungendoli impalpabilmente in sogno; affermava che le donne dovessero portare le gonne, meglio se ampie, per accogliere e nascondere sotto le tribolazioni e i dispiaceri. Santificava le feste ed era, curiosamente, una cristiana fervente e credente: devota ai santi Cosma e Damiano (li Santi Medici), affermava di averli visti apparire al suo capezzale durante le doglie di un parto lungo e doloroso. La rassicurarono, i santi, che tutto sarebbe andato per il meglio e così fu: un bimbo, mio padre, nacque sano e forte. 


A volte in cucina, il fulcro della casa, utilizzava il grande setaccio della farina facendolo roteare sul tavolo con all’interno un paio di forbici. Credo si trattasse di un rituale a scopo divinatorio, in quanto al setaccio venivano poste delle domande e l’oggetto, a cui veniva impresso un movimento, dava il suo responso secondo il modo in cui girava. Questo è però un racconto sbiadito e ricucito dai racconti, non sono nemmeno certa della sua veridicità...

Ai bambini, poi, veniva vietato guardare queste cose poiché erano cose da grandi, perciò proibite.

Ho assistito, una volta adulta, al suo triste declino sia fisico che cognitivo: i medici parlarono di demenza senile e probabilmente era la terminologia più appropriata per la sua condizione, ma io non ci credevo allora come non ci credo oggi. Ricordo una notte terribile durante la quale aiutai mio padre ad assisterla poco prima che se ne andasse: aveva lo sguardo spiritato, i capelli scarmigliati e le parole che uscivano a fiotti incoerenti. Credo che vagasse fra i mondi, senza riuscire a trovare la via del ritorno e che parlasse con gli spiriti: asseriva fossero ovunque nella stanza, attorno al letto e, soprattutto, nello specchio. A questo credevo e credo ancora oggi. 

Vorrei tanto sognarla, magari questa notte. E tante altre ancora.


[Immagini: Pinterest]




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