Riflessione sulla Gratitudine





Oggi desidero appuntare qualche pensiero sulla gratitudine. Per farlo, inizio dal suo significato corrente e comunemente assodato. L’autorevole vocabolario Treccani dà, fra le altre, la seguente definizione di gratitudine: “Sentimento e disposizione d’animo che comporta affetto verso chi ci ha fatto del bene, ricordo del beneficio ricevuto e desiderio di poterlo ricambiare”. L’illustre Accademia della Crusca, nel lemmario della quinta edizione, giusto per risalire all’etimologia del termine, riporta questo passo dal Decamerone di Boccaccio (1,56): “La gratitudine, secondo che io credo, tra l’altre virtù, è sommamente da commendare, ed il contrario da biasimare”. Uno “stato” interiore, dunque, estremamente positivo, da lodare e perseguire. Ma cosa è veramente per ciascuno e come la si vive, quali le sfumature in cui si esprime?

Essa è indubbiamente “cosa” del cuore, di sua appartenenza e dominio, poiché nel cuore trova la sua collocazione naturale, dimorandovi. Lì si muove di moto composto e silenzioso e, se le circostanze lo permettono, apertamente gioioso. Con l’animo di bimba, io stessa mi sorprendo quando appare bussando con impeto ed urgenza alla mia porta e se la indosso come un paio di occhiali, mi accorgo che le sue lenti colorano ogni cosa di meraviglia; pur tuttavia non filtra e non inganna, bensì rischiara mettendo tutto un po’ più a fuoco. La gratitudine è matura quando spontaneamente affiora, pronta per fiorire dopo il dolore di ieri e nonostante l’incognita del domani, e spesso lo fa con il mezzo del “grazie”. Grazie è una parola potente, oserei dire sciamanica, che apre molte porte e che rafforza i rituali e le opere magiche ancor prima di pronunciarle e di porle perciò in atto...

La mia gratitudine dell’oggi va alla terra che si è resa fertile, a mio padre che l’ha lavorata, al cavolfiore che è finito sulla mia tavola e mi ha permesso di consumare una pietanza. Grazie a me, che ho curato la preparazione ed al tempo di cottura che l’ha resa buona.

Grazie a quella risposta che aspettavo da tempo e che, una volta ricevuta, mi ha alleggerito di un peso.

Grazie corpo, che al mattino ti alzi e ti metti in movimento. 

Grazie amore, che ti ricordi di me dipingendoti su ogni volto caro. 

Grazie madre che mi ha dato alla vita, incoscientemente e priva di difese.

Grazie per esserlo due volte, madre, e mille e più volte ancora.

Grazie ispirazione che mi permetti di scrivere, di creare una luna gibbosa con una pasta modellante, di scendere in abissali profondità e in fantastici altri mondi quando leggo le carte. 

Grazie amici vecchi e nuovi, o in procinto di arrivare.

E grazie, di vero cuore, universo tutto... 


Grazie è un termine dal ricco campo semantico che, declinato al singolare, diventa “grazia”. Sempre secondo la Treccani, la grazia in prima istanza è: “Qualità naturale di tutto ciò che, per sua intima bellezza, delicatezza, spontaneità, finezza, leggiadria, o per l’armonica fusione di tutte queste doti, impressiona gradevolmente i sensi e lo spirito”. La grazia trova una trattazione teologica di rilevante importanza nella Bibbia, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, laddove è sinonimo di benevolenza (divina) che assolve dai peccati (!). È sinonimo di dono e di accettazione: non c’è grazia, infatti, senza fiducia e senza accoglienza; essa è insieme perno e leva, attorno e oltre la quale si eleva la gratitudine. Infine, chi è grato si “fa” gratitudine, compiendo così un incorruttibile cammino di giustizia, altra virtù-cardine dello spirito che bilancia correttamente il dare con il ricevere in un armonico e magico fluire.


[Immagini in alto: web; in basso: opera di Pier Leone Ghezzi, la Gratitudine]




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