Elisabetta De Giuli e le streghe di Baceno


[Foto mia: scorcio di montagna]


La storia di Elisabetta De Giuli e delle streghe di Baceno non è particolarmente conosciuta né documentata per ciò che realmente è stata, la storia di una strage.

I fatti si svolgono fra il 1609 e il 1611 in Piemonte, a Baceno, che al tempo faceva parte della provincia di Novara, oggi invece questo paesino montano situato nella Valle d’Ossola fa parte della provincia di Verbano-Cusio-Ossola.

Tutto ha inizio qualche decennio prima con l’avvento della Controriforma stabilita a Trento nel concilio del 1563, che aveva segnato l’inizio di un’epoca fatta di sospetto e dispetto reciproco, diffidenza ed indifferenza che culminarono nella più completa mancanza di umanità, nel buio di una qualsiasi ragione, nel puro terrore.

In questo clima si svolse la fantomatica “caccia alle streghe” di Baceno che già nei 25 anni precedenti aveva portato a qualche arresto, a danno della mite popolazione ossolana.

Sul portone della chiesa di S. Gaudenzio, nel 1609, viene affisso un avviso contenente una “richiesta” di segnalazione da farsi al vicario del vescovo e al giudice secolare, qualora per diceria o sospetto si fosse incontrata una strega o un eretica sia essa donna o uomo, non importa.

Si fa avanti una ragazza, tale Elisabetta del fu Antonio De Giuli, un’orfana, detta la “Bastarda”; ragazza dalla vita tribolata che vive della carità e dell’ospitalità delle altrettanto povere famiglie di Baceno. Elisabetta denuncia delle donne, due o forse quattro, accusandole di averla condotta ad un sabba notturno sul monte Cervandone (situato sulle Alpi Lepontine) e di averle insegnato il Pater Noster in una variante intrisa di stregoneria. 

Da quel momento in poi, un pauroso crescendo e rimpallo di reciproche accuse, vengono arrestate, interrogate e torturate oltre 40 persone e nelle luride carceri novaresi, all’interno delle quali il tutto con discrezione si svolge, le torture inflitte conducono il più delle volte alla morte. 

Il metodo del rogo pare non sia stato utilizzato, anche se vi sono fonti accertate   che in valli limitrofe fuochi vennero appiccati.

In maggioranza le vittime furono donne, spesso anziane di montagna che per lingua e tradizione non comprendevano il “forbito” linguaggio del clero utilizzato durante i sommari interrogatori ai quali previamente ed inutilmente vennero sottoposte. 

Gli inquisitori erano perlopiù frati che con zelo aderivano alle disposizioni date dal temibile vescovo Bascapè.

Resta tuttavia, ad oggi, non chiara la posizione di Elisabetta De Giuli, a causa delle numerose contraddizioni in cui inciampò durante gli interrogatori: la sua posizione risulta in bilico fra l’essere un’accusatrice o l’essere davvero una strega.

In un articolo dello storico Gianbattista Beccaria le streghe di Baceno sono descritte come sacerdotesse, le ultime di una forma di culto pagano di probabile origine Svizzera che sopravvisse a lungo sui monti d’Antigorio. 

Un’ipotesi ulteriore vede le streghe come erboriste esperte che avevano la possibilità di ingerire le erbe allucinogene delle quali la zona alpina è particolarmente ricca: sarebbero state proprio le allucinazioni ad indurre a credere di poter volare per recarsi al cospetto del Diavolo.

Oggi la comunità di Baceno ha riabilitato le sue streghe definendole “donne di talento e conoscenza” e ogni anno, a fine luglio, la valle ossolana si riempie di festeggiamenti tra il sacro e il profano in ricordo di questa dolorosa vicenda.

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